La normativa interna e la conformità rispetto al diritto comunitario.
di Avv. Maria Cristina Fabbretti
Nel settore privato la direttiva 1999/70/CE, recepita con il D.LGS. 6 settembre 2001, n. 368 “Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEEP e dal CES” prevede che un utilizzo illegittimo dei contatti stipulati a tempo determinato non può che portare alla sanzione, prevista dalla legge, della conversione dei vari contratti stipulati a tempo determinato in un unico contratto a tempo indeterminato.
Nel pubblico impiego, invece, il D.Lgs. 30/03/2001, n. 165 all’articolo 36 Utilizzo di contratti di lavoro flessibile, al comma 5 esclude la sanzione della conversione dei vari contratti stipulati a tempo determinato in un unico contratto a tempo indeterminato nei seguenti termini: “in ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizioni imperative”.
Con riferimento alla congruità della sanzione prevista per evitare l’utilizzo abusivo da parte del datore di lavoro pubblico di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi, la Corte di Giustizia ha più volte precisato che tale verifica deve essere effettuata dai giudici nazionali in termini di “adeguatezza della sanzione”, cioè “di carattere non soltanto proporzionato, ma altresì sufficientemente effettivo e dissuasivo”, nonché di “equivalenza ed effettività” (in tal senso CGUE ordinanze Vassallo C-180/04 e Affattato C-3/10).
La normativa interna, secondo quanto previsto dalla predetta Direttiva e proprio per scoraggiare un abusivo utilizzo di tale tipologia contrattuale, ha previsto differenti sanzioni fra il settore pubblico e quello privato.
Le disposizioni previste per il settore del pubblico impiego non consentono l’operatività della misura “dissuasiva e afflittiva” della conversione del contratto.
Pertanto, la quantificazione della concreta “idoneità ostativa” della misura risarcitoria prevista all’articolo 36 del Testo unico sul pubblico impiego ad oggi è rimessa all’interprete.
Di recente le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con riferimento al danno subito dal dipendente pubblico nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, hanno individuato la misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, in seguito ad un contrasto nato nella giurisprudenza di merito circa l’esatta individuazione dei criteri di liquidazione del qunatum del danno in esame.
La Corte di Cassazione ha individuato la fattispecie di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010 quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, facendo salva la eventuale prova del maggior pregiudizio sofferto da parte del lavoratore con onere della prova a carico di quest’ultimo.
“In materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito” Cass. civ. Sez. Unite, 15-03-2016, n. 5072 (rv. 639066).
Dunque, essendo stata chiarita dalla Suprema Corte l’impossibilità dell’operare della conversione del contratto nell’ipotesi di abuso della contrattazione a termine da parte del datore di lavoro pubblico al dipendente resterà la sola possibilità di richiedere al Giudice la liquidazione del risarcimento del danno.
Il discusso caso del settore scuola
La illegittima reiterazione dei contratti a tempo determinato su posti vacanti e disponibili nel settore scolastico si è protratta sistematicamente nel corso degli anni e questo ha comportato l’instaurarsi di un contenzioso che ha visto pronunciarsi numerose corti (fra cui la Corte Costituzionale a luglio 2016, la CGUE a novembre 2014 e di recente la Corte di Cassazione con varie pronunce pilota a novembre 2016).
Il sistema scolastico italiano ha una regolamentazione speciale rispetto a quella del pubblico impiego in generale. Tale peculiarità non sottrae la normativa scolastica dal rispetto del diritto dell’Unione Europea e in particolare della Direttiva 1997/70/CE. Infatti, la Direttiva 1997/70/CE sancisce i principi fondamentali in materia di contratti di lavoro a termine, fra cui il principio di non discriminazione e di prevenzione degli abusi dovuti da un utilizzo reiterato di contratti a tempo determinato. Con la celebre sentenza “Mascolo” la Corte di Giustizia, proprio con riferimento al settore “scuola” del pubblico impiego italiano ha affermato che: “la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo. Risulta, infatti, che tale normativa, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, da un lato, non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e, dall’altro, non prevede nessun’altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato” (C.G.U.E. Sentenza del 26/11/2014, cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13).
Il sistema delle supplenze
La legge 124 del 3 maggio 1999 istituisce il sistema del c.d. “doppio binario” per le assunzioni in ruolo del personale docente ed ATA. Tali assunzioni vengono effettuate per il 50 % tramite lo scorrimento delle graduatorie di concorso e per il restante attraverso lo scorrimento delle graduatorie permanenti (oggi ad esaurimento a seguito dell’entrata in vigore della legge finanziaria per l’anno 2007). Le tipologie di contratti a tempo determinato nella scuola sono:
– supplenze annuali per la copertura delle cattedre e dei posti che risultino effettivamente vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico;
– supplenze “temporanee” o fino al termine delle attività didattiche (30 giugno), per la copertura di posti di lavoro non vacanti che si rendano di fatto disponibili entro la data del 31 dicembre;
– supplenze “effettivamente” temporanee per sostituzione di personale assente per malattia, maternità, congedo, ecc..
L’esplosione del contenzioso nazionale
Nel corso degli ultimi anni molti giudici del lavoro si sono pronunciati sulla illegittima reiterazione dei contratti termine posta in essere dall’amministrazione scolastica. Le interpretazioni fornite dai giudici di merito sono state molteplici.
Secondo un primo orientamento si è considerata ammissibile la conversione del contratto quale idoneo mezzo volto a scoraggiare il diffondersi dell’utilizzo reiterato ed abusivo della contrattazione (si segnala Tribunale di Livorno, Sez. Lavoro, 25/01/2011; Tribunale di Trani, Sez. Lavoro, 19/11/2011, n.4556; Tribunale di Siena, Sez. Lavoro, 27/09/2010). Tale orientamento è stato seguito anche in seguito alla pronuncia della CGUE del 2014 “Mascolo” (Tribunale di Napoli, sentenze nn. 521, 528 e 529 del 21 gennaio 2015; Tribunale di Siena – aprile 2015; Tribunale di Roma – marzo 2015; Tribunale di Fermo – febbraio 2015; Tribunale di Crotone, sentenze nn. 116, 117 e 118 – marzo 2015).
Secondo altro orientamento, invece, non potendo operare la conversione del contratto per specifica previsione di legge (art. 36 TUPI) veniva riconosciuto il diritto al risarcimento del danno. All’interno di tale orientamento si sono riscontrati differenti modalità di calcolo del risarcimento del danno dovuto al lavoratore. Talvolta il quantum del risarcimento è stato individuato nella misura pari all’importo complessivo di 20 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita dal lavoratore così composta: 5 mensilità corrispondenti alla misura minima prevista dall’art. 18, comma quarto, della L. 300/1970 e 15 mensilità corrispondenti all’indennità sostitutiva della reintegra prevista dal comma quinto dell’art.18 L. 300/1970. Tale calcolo indennitario, di tipo sanzionatorio, è stato avallato anche dalla Corte d’Appello di Roma, Sez. Lavoro, sentenza 17/01/2012, n. 270. Altre volte, invece, il quantum risarcibile è stato individuato nella forbice da 2,5 a 12 mensilità indicata dall’art. 32, comma 5, legge n. 183/2010, in quanto secondo tale tesi tale indennità omnicomprensiva deve ritenersi applicabile a tutte le ipotesi in cui, in sede giudiziaria, si opera una conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato a prescindere dal titolo giuridico (sul punto Tribunale di Napoli, 17/11/2011. Est. Musella, e in tal senso anche Trib. Urbino, Sez. Lavoro, 29/08/2012, n. 261).
Infine, secondo differente orientamento, il dipendente del settore scolastico (docente o ATA) non avrebbe diritto ad alcun tipo di risarcimento del danno poiché non vi sarebbe stato alcun abuso (in tal senso Tribunale di Rimini sentenza n. 11/2016).
Sulla materia è poi intervenuta anche la Corte di Cassazione con differenti pronunce.
Con una prima pronuncia, n. 10127 del 20 giugno 2012 (Pres. Vidiri, est. Napoletano) la Suprema Corte ha negato la conversione del rapporto sia in caso di nullità del termine apposto al contratto che nell’ipotesi di illegittima reiterazione abusiva dei contratti in violazione della clausola 5 della Direttiva UE 1999/70, valorizzando il divieto di cui all’art. 36 del D.Lgs. 165/2001 e alla luce dell’art. 97 della Costituzione che prevede l’accesso al ruolo solo tramite concorso. Ritenuta la legittimità del sistema scolastico e richiedendo la prova, a carico del lavoratore, del danno subito a causa dell’illegittimità del termine apposto al contratto sostanzialmente la Cassazione chiudeva la strada alla possibilità del risarcimento del danno.
Con una successiva pronuncia, sentenza n. 27363/14, invece la Corte di Cassazione ha operato un’apertura alla possibilità di ottenere il risarcimento del danno sostenendo che “spetta al giudice nazionale valutare in che misura le disposizioni di diritto nazionale volte a sanzionare il ricorso abusivo, da parte della pubblica amministrazione, a una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato siano conformi a questi principi”, rendendo effettiva la conversione dei contratti di lavoro da determinato ad indeterminato di tutti i rapporti a termine successivi con lo stesso datore di lavoro pubblico, dopo trentasei mesi anche non continuativi di servizio precario, in applicazione dell’art. 5, comma 4-bis, del d.lgs n.368/2001” (Corte di Cassazione, sentenza n. 27363/14).
La sentenza CGUE Mascolo (C.G.U.E. Sentenza del 26/11/2014, cause riunite C-22/13, da C-61/13 a C-63/13 e C-418/13).
La Corte di giustizia dell’Unione europea con sentenza del 26 novembre 2014 (cause riunite C 22/13, da C 61/13 a C 63/13 e C 418/13 “cd Mascolo”) su ordinanza di rinvio pregiudiziale del Tribunale di Napoli e, successivamente, della Corte costituzionale è intervenuta sul punto fornendo chiarezza sulla questione.
La Corte di Giustizia, proprio con riferimento al settore “scuola” del pubblico impiego italiano ha affermato che: “la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nei procedimenti principali, che autorizzi, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo. Risulta, infatti, che tale normativa, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, da un lato, non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e, dall’altro, non prevede nessun’altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato” .
In seguito, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 187/2016 ha accertato che sistema italiano scolastico non è conforme al diritto Ue nei seguenti termini: “La pronuncia della Corte di giustizia sul punto è univoca: da ciò consegue la illegittimità costituzionale, dell’art. 4, commi 1 e 11, della legge n. 124 del 1999, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione alla clausola 5, comma 1, dell’accordo quadro più volte citato, nella parte in cui autorizza, in mancanza di limiti effettivi alla durata massima totale dei rapporti di lavoro successivi, il rinnovo potenzialmente illimitato di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza che ragioni obiettive lo giustifichino”.
Le ricadute sanzionatorie secondo la Corte Costituzionale possono essere individuate dal Giudice interno anche in maniera diverse da quelle indicate da CGUE, basta che si rispettino i caratteri essenziali di dissuasività, proporzionalità, effettività[1].
A seguito dell’accertamento dell’illegittimità costituzionale delle norme impugnate per violazione dell’art. 117 Cost. la Corte, interpretando la normativa medio tempore intervenuta (Legge 107/2015), sostiene che il sistema italiano sia tornato “conforme” al diritto dell’UE.
Le misure sanzionatorie individuate dalla Corte Costituzionale sono: l’introduzione di un termine effettivo di durata dei contratti a tempo determinato, il cui rispetto è garantito dal risarcimento del danno, la stabilizzazione dei docenti precari con il piano straordinario[2] destinato alla “copertura di tutti i posti comuni e di sostegno dell’organico di diritto” e la calendarizzazione di concorsi triennali.
In seguito a tale pronuncia è di recente intervenuta la Corte di Cassazione, con sentenza n. 22552 del 7/11/2016, che sulla scia dei principi dettati dalla Corte Costituzionale ha affermato che per coloro che hanno potuto partecipare al piano straordinario di immissione in ruolo “deve ritenersi che la “stabilizzazione” disposta dal legislatore del 2015 rappresenta una misura ben più satisfattiva di quella per equivalente, che sarebbe spettata al personale scolastico assunto con una serie ripetuta e non consentita di contratti a termine sulla scorta del “diritto vivente”, costituito dai principi affermati dalle SSUU di questa Corte nella sentenza n. 5072/2016 (cfr. infra), principi ai quali il Collegio ritiene di dare continuità” (..) 123. F. Nelle predette ipotesi di reiterazione, realizzatesi prima dell’entrata in vigore della legge 13 luglio 2015 n. 107, rispettivamente con il personale docente e con quello ausiliario, tecnico ed amministrativo, per la copertura di cattedre e posti vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano prevedibilmente tali per l’intero anno scolastico, deve affermarsi, in continuità con i principi affermati dalle SS.UU di questa Corte nella sentenza n. 5072 del 2016 , che l’avvenuta immissione in ruolo non esclude la proponibilità di domanda per risarcimento dei danni ulteriori e diversi rispetto a quelli esclusi dall’immissione in ruolo stessa, con la precisazione che l’onere di allegazione e di prova grava sul lavoratore, in tal caso non beneficiato dalla agevolazione probatoria di cui alla menzionata sentenza. Al contrario, per il personale che non ha avuto “alcuna certezza di stabilizzazione, va riconosciuto il diritto al risarcimento del danno nella misura e secondo i principi affermati nella già richiamata sentenza delle SSUU di questa Corte n. 5072 del 2016”.