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Piero Calamandrei e la difesa di Dolci

Piero Calamandrei e la Difesa di Dolci

di Beatrice Primerano

A cento anni dai tragici eventi della Prima guerra mondiale, appare doveroso ricordare Piero Calamandrei, il primo ufficiale italiano a entrare a Trento il 3 Novembre 1918, per quello che fu il suo ultimo impegno e che resta il suo testamento spirituale.

Il fondatore della rivista <<il Ponte>>, uno dei maggiori giuristi italiani del Novecento e tra i più autorevoli membri dell’Assemblea Costituente, tornò spesso a Trento con la parola e con la memoria: l’esperienza della guerra e dei tribunali militari mise alla prova, per la prima volta, le qualità di giurista del giovane Calamandrei.

Il 4 luglio 1916, nei pressi di Pian delle Fugazze, si compì, infatti, la sua prima esperienza come difensore, nel caso che riguardava otto soldati accusati di aver abbandonato il posto di combattimento dinnanzi al nemico.

Si trattò di un episodio di importanza centrale sul piano umano tanto quanto sul piano professionale, sul quale Calamandrei tornò in uno dei suoi ultimi articoli apparsi sul <<Ponte>> nel marzo del 1956, Castrensis iurisdictio obtusior, recentemente riedito con il titolo <<Il mio primo processo>>.

Alla fine della sua vita fu questo il ricordo che egli volle rievocare a proposito della Grande Guerra.

Trento fu senz’altro decisiva nella vita di Calamandrei, come lo fu Partinico (un piccolo comune tra Palermo e Trapani), dove si svolsero i fatti del processo contro Danilo Dolci, la paradossale vicenda giudiziale del grande intellettuale triestino, arrestato con l’accusa di occupazione di suolo pubblico e resistenza di pubblico ufficiale il 2 febbraio 1956, mentre esortava un gruppo di braccianti disoccupati a iniziare lavori di sterramento e di assestamento in una vecchia strada comunale abbandonata, allo scopo di dimostrare che non mancavano nè la volontà di lavorare nè opere socialmente utili da intraprendere in beneficio della comunità.

Dolci, sconvolto dalle condizioni di abbandono e miseria in cui versava la Sicilia e convinto che l’indifferenza di fronte alla sofferenza equivalesse a concorrere a un omicidio (un omicidio sociale, che non sporca le mani di sangue, ma l’anima sì), e che fosse dunque un crimine che forse poteva sfuggire all’occhio della legge, ma non a quello della Giustizia, realizzò un singolare <<sciopero alla rovescia>>: i disoccupati non potendo astenersi dal lavoro per protesta (come fanno coloro che hanno un’occupazione), dovevano lavorare, compiendo lavori per il bene comune, intervenendo dove le autorità mostravano da tempo la loro assenza.

Dolci fu difeso, tragli altri, da Piero Calamandrei, la cui arringa resta tra i capolavori della letteratura e del pensiero giuridico del Novecento: un monumento di civiltà democratica, la cui lettura costituisce ancor oggi una preziosa occasione per comprendere quanto sia stata tribolata la strada per affermare la democrazia repubblicana in Italia, e anche per riflettere su dove saremmo oggi senza <<ribellioni>> e <<ribelli>>.

Il <<processo all’articolo 4 della Costituzione italiana>>, come lo definì il giurista fiorentino, ebbe il merito di attirare l’attenzione mediatica e politica su una parte di Sicilia derelitta, e più in generale sulle condizioni sociali dell’Italia a più di dieci anni dalla fine della guerra e a otto anni dall’entrata in vigore della nuova Costituzione, che esaltava la dignità del lavoro fin dal suo primo articolo.

Questa singolare vicenda giudiziaria, nella quale gli imputati erano in fin dei conti sotto accusa solo per aver chiesto l’applicazione della Costituzione nel punto in cui essa <<riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto>>, ci insegna che legge e giustizia non sempre sono sinonimi.

Suona ancor oggi come un monito quello che in quella occasione asserì Piero Calamandrei, avvertendo con vivo senso di un antico dramma, che <<il popolo non ha fiducia nelle leggi perchè non è convinto che queste siano le sue leggi. Ha sempre sentito lo Stato come un nemico. Lo Stato rappresenta agli occhi della povera gente la dominazione […] Finora lo Stato non è mai apparso alla povera gente come lo Stato del Popolo>>.

BEATRICE PRIMERANO

Docente alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Trento

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– Regia di Clara Mazzarella –
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