Puntata di #svegliatiavvocatura di Lunedì 13 Giugno 2016.
Per Cicerone, il buon oratore possiede “…l’acume del dialettico, la profondità dei filosofi, l’abilità verbale dei poeti, la memoria dei giureconsulti, la voce dei tragici, il gesto dei migliori attori.” (Cicerone, De oratore, I, 48). L’ars oratoria è saper dire tutto e il contrario di tutto senza apparire contraddittori. Significa in primo luogo persuadere, utilizzare consolidati schemi retorici (che spesso adoperiamo inconsapevolmente) per portare gli ascoltatori ad un prefissato obiettivo.
Oggi, contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare da una società di massa e mediatica, l’ars oratoria è subordinata più che alla qualità degli oratori, alla quantità delle orazioni; vi è un assiduo e costante bombardamento di slogan e informazioni che da un certo punto di vista rende meno importante la forma oratoria ed i contenuti delle orazioni. Per fare un esempio: essere contraddittori, oggi, non è più un problema per i novelli e mediatici showman della politica. Berlusconi ha recentemente svilito la scuola pubblica ed elogiato quella privata di fronte ad un’assemblea di cattolici. Poco dopo, in un contesto diverso, e attaccato dalle opposizioni, Berlusconi ha negato di averlo fatto, ed ha accusato l’opposizione di travisare e strumentalizzare le sue parole. In questo caso, non si tratta di oratoria, ma piuttosto di uso massiccio dei media, strumenti con cui è possibile bombardare l’opinione pubblica con la propria versione dei fatti.
Ciononostante, saper parlare rimane fondamentale, e saper persuadere, convincere, lo è ancora di più. Le cose si fanno singolarmente complicate, il saper parlare ora si chiama “Public speaking” (cambiano i nomi e le mode culturali, ma l’ars oratoria e stata già codificata dagli “antichi”) ed i politici affidano ogni loro mossa, ogni aspetto della loro immagine, dalla comunicazione verbale a quella non verbale, fino a quella semplicemente visiva, a managers appositi ed a riunioni preventive con gli occulti consiglieri della comunicazione postmoderna. Compaiono, contemporaneamante, nuove guide e Guru in camicie smanicate, mistici che promettono l’acquisizione di superpoteri, che promettono di saper insegnare a chiunque il successo ed il potere, il potere di essere comunicativi, di saper convincere, e quindi vendere se stessi, vendere le proprie idee come un consulente di vendita promuove i prodotti in un grande magazzino. Il “parlar franco” di alcuni greci (Plutarco), la parresia, non è che un vago ricordo; dalla sua “arte di ascoltare” si è passati a quella di finger di ascoltare. Più che solo parlare, il novello vir bonus dicendi peritus deve essere un vero e proprio psicologo della comunicazione, sapersi adattare in continuazione agli auditori, alle situazioni, agli imprevisti, in base agli obiettivi del suo comunicare.
Nel mondo che, secondo Habermas, si riduce a comunicazione ed a comunicazione negata, l’autoaffermazione passerebbe dal saper presentarsi ad un pubblico, dal posto di lavoro, ad un colloquio, alla famiglia, fino ad una platea cordiale o inferocita.
Ma chi ha inventato o formalizzato queste tecniche retoriche? In Occidente, certamente i Greci (specie da Aristotele in avanti), poi i Romani, che ripresero questo monumentale sapere e lo sistematizzarono in maniera simile. Cicerone, uno dei più “efficaci” rètori della storia, affermava che un discorso doveva essere in grado di docere, movere, delectare, quindi doveva essere in grado di coinvolgere più piani, dalla ragionevolezza degli interlocutori, fino all’emotività, ed al loro gusto estetico. I Romani, esattamente come i Greci – che nelle agorà combattevano la loro autoaffermazione politica e sociale – già ben sapevano che una comunicazione efficace si basa sui dettagli e su precise regole che oggi definiremmo verbali, paraverbali (l’intonazione della voce, il cambiamento di tono ecc.) e non verbali (l’abbigliamento, lo sguardo, i movimenti, la vicinanza, la capacità di coinvolgimento, la capacità di suscitare risate, serietà, stati d’animo ecc). E comprendevano che le parti paraverbali e non verbali hanno più importanza del messaggio stesso. Lezione, questa, totalmente assorbita dalla modernità e dal Novecento.
Buon ascolto!