Il diritto al risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi è un tema di interesse trasversale per amministrativisti e civilisti, fin dal suo riconoscimento con la storica sentenza della Corte di Cassazione n. 500/1999.
Con tale sentenza nasce anche l’orientamento giurisprudenziale a sostegno della cosidetta pregiudiziale amministrativa. Tra tutti, l’Adunanza Plenaria del CDS n. 4/2003, aveva ritenuto sussistere la necessità di impugnare ed ottenere l’annullamento dell’atto amministrativo prima di poter conseguire il risarcimento del danno derivante da quel medesimo atto, in sede civile.
Secondo il Consiglio di Stato n. 1195/2011 non sussiste alcuna automatica correlazione tra annullamento del provvedimento illegittimo e risarcimento del danno, in quanto il ricorrente deve dimostrare la sussistenza degli altri presupposti di cui all’art. 2043 c.c., ovvero colpa e nesso di causalità. Inoltre, secondo il Consiglio di Stato, la domanda di risarcimento del danno causato da un illegittimo provvedimento della P.A., annullato in sede giurisdizionale per difetto di motivazione, non può essere accolta se l’Amministrazione ha spazi di discrezionalità in sede di riesercizio del potere.
Con l’entrata in vigore del codice del processo amministrativo nel 2010, l’art. 30 ha statuito il superamento della pregiudiziale amministrativa, assegnando degli autonomi termini per la proponibilità della domanda di risarcimento dei danni davanti al Giudice Amministrativo.
Infatti, la domanda di condanna al risarcimento del danno può essere proposta contestualmente all’azione demolitoria, entro 60 giorni dalla pubblicazione del provvedimento, oppure in via autonoma entro 120 giorni con decorrenza dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente d questo.
Infine, qualora l’azione di risarcimento non sia stata proposta, la domanda risarcitoria può essere svolta in corso di giudizio o fino a 120 giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza.
A tal fine, si ricorda che il passaggio in giudicato delle sentenze del Consiglio di Stato non si ha nel giorno della loro pubblicazione, ma nel giorno in cui la sentenza non è più soggetta al rimedio della revocazione o del ricorso per cassazione per motivi inerenti la giurisdizione, entrambi proponibili in difetto di notificazione fino a sei mesi dalla pubblicazione della sentenza.
Recentemente, l’Adunanza Plenaria n. 6/2015 ha ritenuto che il termine di decadenza di 120 giorni previsto dall’art. 30 c.p.a. non è applicabile ai fatti illeciti anteriori all’entrata in vigore del D.Lgs. 104/2010, per i quali, pertanto, vige il termine di prescrizione quinquennale.
Infine, bisogna segnalare l’ordinanza di remissione alla Corte costituzionale pubblicata il 17 dicembre 2015, con la quale il TAR Piemonte ha chiesto al Giudice delle leggi di dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 30 D.Lgs. 104/2010, nella parte in cui ha fissato un termine di decadenza di 120 giorni per l’esercizio dell’azione risarcitoria.
Secondo il TAR Piemonte, tale termine decadenziale si pone in contrasto con il principio riconosciuto dall’art. 47 Carta dei diritti UE della effettività della tutela giurisdizionale, in quanto rappresenterebbe un privilegio per la Pubblica Amministrazione responsabile di un illecito.
Una analoga questione era stata sollevata dal TAR Palermo con l’ordinanza n. 1628 del 2012, ma la Corte costituzionale con sentenza n. 280 del 2012, aveva ritenuto tale questione inammissibile.
di Elia Barbujani