Sono pochi a conoscere la cosiddetta finanza islamica. Pochi sanno per esempio che nella finanza islamica assume un ruolo fondamentale il divieto di Ribà, corrispondente al nostro “interesse”.
L’interesse su finanziamento, dovuto a prescindere dai risultati economici derivanti dall’impiego del denaro prestato, viene infatti visto come un ingiustificato arricchimento. Al tempo stesso si ammette però il principio del profit and loss sharing, la condivisione cioè del rischio (e dei relativi profitti) tra detentore di capitali (a carico del quale restano comunque le perdite) ed imprenditore.
Nell’ottica del divieto di (ingiustificato) arricchimento sul prestito finanziario, quindi, anche il mutuo diventa un contratto gratuito e il mutuatario dovrà restituire il solo capitale prestato senza interessi. Data tale impostazione, dunque, nel mutuo immobiliare “islamico”, il cliente sceglie l’immobile, paga un minimo predeterminato per la perizia e se la banca ritiene l’operazione economicamente valida, è la banca che acquista l’immobile e lo rivende al cliente ad un prezzo maggiorato. A quel punto il cliente paga l’immobile a rate per un periodo predeterminato.
La discrasia tra il sistema della finanza islamica e quella italiana e tra i relativi sistemi giuridici potrebbe però comportare, laddove questi strumenti fossero ammissibili anche in Italia, conseguenze fiscali anche in termini accertativi. In altre fattispecie in cui l’interesse sui finanziamenti non viene applicato, del resto, il comportamento dell’Amministrazione Finanziaria è sempre stato piuttosto “restrittivo”. Non di rado, per esempio, i mutui concessi alle società infragruppo sono gratuiti, senza cioè applicazione di interessi attivi sulla somma data in prestito. Ma, ai sensi dell’art. 1815 del codice civile, il mutuatario è sempre tenuto alla corresponsione degli interessi al mutuante, “salva diversa volontà delle parti”. Ma la Corte di Cassazione (da ultimo con sentenza n. 7493 del 15 aprile 2016) ha affermato che ai fini fiscali i finanziamenti infragruppo si presumono sempre fruttiferi di interessi e che non rileva la gratuità pattuita tra le parti. Se le scadenze non sono stabilite per iscritto, gli interessi si presumono allora percepiti nell’ammontare maturato nel periodo d’imposta e se la misura non è determinata per iscritto gli interessi si computano al saggio legale. Insomma, la finanza islamica rappresenta un campo giuridico e fiscale molto complesso, con cui però, visto il carattere globale della nostra economia, è ormai necessario confrontarsi anche sotto il profilo fiscale.
Giovambattista Palumbo