L’Avv. Andrea de Bertolini, Presidente del COA di Trento
Il Governatore Fugatti, improvvisamente abbandona la Corte d’ Assise di Trento all’ inaugurazione dell’ Anno Giudiziario. Così l’intervento dell’Avv. de Bertolini nella cerimonia di inaugurazione: Signora Presidente della Corte d’Appello, Signor Procuratore Generale, Signore e Signori Consiglieri, Autorità tutte, civili, religiose e militari, Care Colleghe e Cari Colleghi, Magistrati tutti, Funzionari di Cancellerie e Segreterie Cittadine, Cittadini, prendo la parola in questa solenne cerimonia portando con orgoglio il saluto dell’Avvocatura trentina, del Consiglio dell’Ordine, con l’augurio, che possa essere soprattutto per i nostri concittadini, utenti del servizio giustizia, un positivo Anno Giudiziario. ***** *** ***** Prima di entrare nel vivo dell’intervento, mi sia consentito, conclusa la Consiliatura di questi quattro anni, rivolgermi con sincera gratitudine al Consiglio dell’Ordine con il quale ho lavorato. Un Consiglio composto da ottime e ottimi Colleghi che con autentico spirito di servizio si sono dedicati all’interesse dell’Avvocatura, della Giurisdizione e dei cittadini. È stato un vero onore aver condiviso con loro questa esperienza. Ed è stato un vero onore aver rappresentato l’Ordine degli Avvocati di Trento. ***** *** ***** L’inaugurazione dell’Anno Giudiziario – proprio grazie al suo protocollo formale – sono convinto sia un momento di importante valore simbolico. Sintesi dell’anno concluso; riflessione sull’anno che si apre per la Giurisdizione. Una Funzione statuale di primissima rilevanza costituzionale per la tenuta degli assetti democratici del Paese. Oggi un momento solenne in cui la Giurisdizione, incontra le rappresentanze Istituzionali (anche locali) e la società e, nella sua necessaria e inscindibile duplice composizione soggettiva – Magistratura e Avvocatura – si confronta per l’esclusivo interesse del cittadino. Con un incedere dialogico, orientato dagli assi cardinali di una comune cultura (1) della Giurisdizione, (2) della legalità costituzionale, (3) delle libertà, (4) dei diritti fondamentali dell’uomo. Un dialogo che, in questo territorio, ancora una volta, nell’asseverare quella leale e rispettosa interazione fra Avvocatura e Magistratura, si pone come fattore, indefettibile, che concorre a qualificare l’efficienza della giustizia del nostro Distretto. LA SITUAZIONE NAZIONALE Sul versante nazionale, il giudizio non è equivoco. Viviamo un momento di profonda incertezza. È indispensabile richiamare le nozioni base. Fu per il nostro Paese una scelta precisa. Per fuggire all’abominio del conflitto mondiale. La matrice genetica dell’architettura costituzionale fu incisa con i tratti tipici dello Stato costituzionale di diritto. Una forma di stato che, nel superare le tossiche memorie degli Stati autoritari e le nocive, tragiche, esperienze dello Stato assoluto, salda le premesse ordinamentali, da un lato, alla salvaguardia dei diritti e alla tutela delle libertà dell’Uomo (non solo del cittadino), da altro lato, al principio di legalità vincolando la Giurisdizione, il Legislatore, il Governo del Paese al rispetto della Costituzione stessa. Così, fra le nozioni base, ve n’è un’altra: la democrazia, per quanto sia la miglior forma di governo concepibile, è per definizione fragile. Lo insegna l’uomo e la sua Storia. Dunque, l’affidabilità democratica rimane per noi, ancora oggi, principio da presidiare. L’Avvocatura, (1) nella sua tipica funzione sociale, (2) nelle proprie prerogative costituzionali di autonomia e indipendenza, (3) nell’esser “cerniera” di raccordo per una fisiologica interazione fra i poteri dello Stato, (4) nella sua paradigmatica natura di corpo intermedio, (5) archetipo civile della difesa dell’uomo dall’uomo, esprime e al tempo stesso assicura quel pluralismo, a giusta ragione, considerato uno dei fattori non negoziabili delle moderne democrazie. Per tali ragioni, la Voce dell’Avvocatura, oggi, si leva in modo deciso. Senza riserve o paure. Quotidianamente, con sempre più concreta evidenza, percepiamo un diffuso clima sociale che pretende come necessari, irrigidimenti e compressioni delle libertà, dei diritti fondamentali dell’Uomo. Un clima denso e pressante del quale alcune stesse Istituzioni si fanno capofila, disseppellendo politiche manifesto dal forte valore simbolico che enfatizzano – radicalizzandola – una reattiva, difensiva, violenta demagogia del nemico. È in atto una preoccupante rilettura della scala valoriale dello Statuto delle libertà e dei diritti fondamentali della Costituzione. Quello Statuto delle libertà e dei diritti su cui, seppur con fatica, dolore, finanche sangue versato nei tormentati anni eversivi della nostra Repubblica, si sono conchiuse le migliori acquisizioni culturali delle coscienze civili di questo Paese. Oggi, sul banco degli imputati il Giusto processo e istituti di civiltà giuridica come la prescrizione, diritti della personalità come l’identità, la sessualità, la genitorialità, l’affettività. Ancóra, la libertà di manifestare il pensiero e la libertà di stampa. E così, alcuni diritti che, pur rientranti nel novero dei diritti fondamentali dell’uomo, come l’art. 10 co. 3 della Costituzione sul diritto di protezione dello straniero, si vorrebbero ridurre ai minimi termini, sull’assunto dell’anteporre i diritti dei cittadini. Acquisizioni culturali prima che giuridiche, proprie di una civile moderna democrazia, sono oggi in discussione. Anche e soprattutto con l’uso strategico e cinico di nuove forme di comunicazione e di un linguaggio ferale che ha certamente trasceso il limite della continenza e della tollerabilità. Si pensi alla censura del Garante dei detenuti sul video-messaggio (poi ritirato) del Ministro della Giustizia, alle esternazioni di alcuni Ministri come “marcire in galera”, a epiteti come “infimi sciacalli” riferito ai giornalisti o rispetto a testi di legge nominati “Spazzacorrotti”. Con scempio di quella visione kelseniana della democrazia intesa come sintesi dialogica d’interessi contrapposti fra maggioranza e minoranze, nel rievocarsi teorie del conflitto di antica memoria, prendono forma autoritarismi bulimici; funzionali al “fatturare” consenso e all’alimentare, per poi saziare, quel diffuso voyerismo agorà-mediatico, sintomo patologico di una vera frustrazione sociale che oggi attinge ampia parte della società civile. Da un lato, con l’affermazione di diritti diseguali e con pregiudizio dell’equità sociale. Da altro lato, con esiziali prospettive per la democrazia: un arretramento, con rigurgiti reazionari e modelli di stato etico che approssimano derive oclocratiche di orwelliana memoria e quella nemesi che de Tocqueville chiamava la tirannia della maggioranza. È urgente un ripensamento. Dobbiamo insieme trovare i necessari anticorpi, per curare questa pandemica regressione virale che ammorba la salubrità sociale e che mina in modo tossico le basi della nostra democrazia repubblicana. Diritti, libertà e dignità dell’Uomo non sono negoziabili. Non sono concetti relativi. Così, nei transeunti sinallagmi governativi, non possono essere merce di scambio. Diritti, libertà e dignità dell’Uomo – semplicemente – non hanno colore politico. L’art. 3 della Costituzione è “geometria pura”. Anche laddove sancisce il dovere della Repubblica – dunque delle Istituzioni anche locali e delle donne e uomini che le rappresentano – di rimuovere gli ostacoli che nel limitare la libertà e l’eguaglianza, violano la dignità delle persone e lo sviluppo della personalità. L’Avvocatura, pronta al confronto, legittimamente nella propria divisa – la Toga – chiede che le Istituzioni, sui temi della Giurisdizione, dei diritti e delle libertà, nell’interesse della salubrità sociale, responsabilmente dialoghino per individuare quelle opzioni tecnico normative che, nel pieno rispetto dell’autonomia conseguente al mandato rappresentativo, rimangano tuttavia ancorate allo Statuto dei diritti e delle libertà. Nell’esatto (inteso come participio passato del verbo esigere) significato della Costituzione. Si consideri come, per esempio, per le riforme del processo civile e penale si palesi un preoccupante comune denominatore. La sensazione è che, nuovamente, questa volta pare con il curioso avvallo d’imprecisate piattaforme virtuali, l’efficienza del processo sia volutamente fraintesa con incongrui efficientismi. Con sicuro detrimento delle garanzie. Non vi è dubbio che i tempi della giustizia siano obiettivamente tema cruciale e, tuttavia, altrettanto indubbio è il fatto che, il giusto processo, nelle sue nitide coordinate costituzionali, presupponga la massima espressione del diritto fondamentale di difesa. Ogni pregiudizio in tal senso si porrebbe sicuramente come illiberale, antidemocratico, in violazione dell’art. 111 Cost. Così, nella giustizia penale, nel nostro Stato costituzionale di diritto, vi sono due assiomi. Il processo penale, non è strumento di difesa sociale o di lotta alla criminalità. Il diritto penale non è strumento ideologico, emozionale finanche etico, di lotta politica. La ricerca del bene comune non può risolversi in una pan-penalizzazione con un diritto penale simbolico o strumentale. È un kantiano imperativo categorico: la politica e la società civile riprendano in mano le sorti della loro virtù pubblica e, con responsabilità e lucido senso del dovere, si riapproprino di una comune cultura della giurisdizione, della pena, dei diritti, della legalità, coerente ai paradigmi costituzionali. LA GIURISDIZIONE NEL NOSTRO TERRITORIO Prerogativa della giustizia trentina è da sempre la celerità e la complessiva qualità di risposta al cittadino. Non è questione di perfezionismo estetico. È il rispetto dei cittadini. Ma l’anno trascorso, pur attestando invidiabili standard, ha tuttavia mostrato alcune incertezze in controtendenza al consueto trend. L’Avvocatura trentina ha fatto la propria parte. Garantendo un corretto rapporto etico- professionale; dimostrandosi sul fronte istituzionale e associativo pronta al dialogo, con Magistratura e Istituzioni, per soluzioni migliorative a favore del cittadino. Ha garantito impegno nelle procedure alternative alla definizione del contenzioso grazie all’Organismo di Mediazione. Nel 2018 i procedimenti sono stati 443 in incremento rispetto all’anno precedente, di cui 70 con esito positivo. E ancora, meritorio e d’importante significato deontologico, si è confermato l’impegno nel dolente servizio delle amministrazioni di sostegno a favore delle fasce più deboli della comunità. Dunque, un’Avvocatura trentina consapevole del proprio ruolo, ferma nella coscienza identitaria della propria funzione sociale, garante della difesa dei diritti. Un’Avvocatura riconosciuta e riconoscibile, tuttavia a volte, ancora con troppa superficialità, minimizzata con incongrui provvedimenti in materia di patrocinio a spese dello Stato. Un servizio che, per le accresciute difficoltà economiche in cui la società versa, merita doverosamente maggior rispetto, se non altro in nome del (A) diritto di accesso del cittadino al servizio giustizia e del (B) principio dell’equo compenso, evitando così offensivi contenziosi svilenti tutte le componenti della Giurisdizione, dei quali nessuno ha bisogno. E, tuttavia, si notano preoccupanti segnali che annunciano un peggioramento della qualità. Per la giustizia penale e per quella civile. Riduzione di orari di cancellerie, poi peraltro ripristinati, riduzione di servizi (come da ultimo la possibilità di rivolgersi ai funzionari di cancelleria per procedere all’inventario nelle successioni con certo aggravio di costi per il cittadino), sono evidenze che devono essere lette come obiettive criticità sulle quali tempestivamente intervenire. Bene sappiamo quanto sia stata complessa l’attività di coordinamento fra Uffici Giudiziari e Regione TAA nel dare attuazione alla storica delega di funzioni. Una difficoltà ingombrante causata da più fattori: (1) carenza di organico ereditata dalla gestione statale, (2) numero di pensionamenti soprattutto di “colonne” amministrative della giustizia trentina, (3) delicate questioni sindacali nella trattativa per ristrutturare i ruoli, solo per citare le più importanti. Così, e di questo va dato atto, la Regione TAA ha certamente lavorato nell’interesse del servizio giustizia dialogando con la Corte di Appello e la Procura Generale. Ma ciò non è sufficiente. Urge la pianificazione di un intervento multilivello su breve– medio termine, per superare le criticità riconsegnando agli Uffici giudiziari trentini l’efficienza di cui sono stati espressione. Anzi, accrescendola. Questa Automia virtuosa ha sempre vinto le sfide per l’amministrazione del territorio. Anche l’efficienza amministrativa del servizio giustizia deve entrare a pieno titolo nelle ambizioni del nostro Ente locale. In particolare, ritengo non rinviabile indire un bando dedicato per far fronte alla carenza di personale e al progressivo svuotamento dei ruoli in ragione dei pensionamenti. Problema differente, l’Ufficio del Giudice di Pace. L’Avvocatura lo denuncia da anni. Siamo all’emergenza: la mancanza di Magistrati onorari è sicuro vulnus che genera disservizi e inefficienze in specie nel settore civile. Urge la nomina di nuovi Giudici di Pace. Nell’interesse del cittadino. Infine, e con questo concludo, il tema della realtà penitenziaria trentina. Sette (7) suicidi consumatisi dentro le mura del Carcere di via Beccaria dal 2013 a oggi, sono, in termini anche solo cinicamente statistici, un numero inaccettabile. Un record nazionale indegno di cui doverosamente dobbiamo vergognarci. La rivolta in carcere dello scorso 22 dicembre, al netto delle responsabilità penali per gli autori di reati, è conseguenza delle criticità che in questo luogo si sono depositate nel corso di anni rendendo una dimensione di vita complessivamente insalubre. I temi su cui è necessario un confronto responsabile sono l’area educativa, l’area sanitaria, la Magistratura di sorveglianza. L’appello che rivolgo alla Giurisdizione e alle Istituzioni soprattutto locali – meritoriamente condiviso dal Commissario del Governo con l’istituzione di un tavolo permanente di confronto – è che si lavori insieme perché la Casa Circondariale non sia luogo di oblio, di morte, in cui “si resta passando” marchiati dallo stigma sociale, indelebile, dell’ex detenuto. Piuttosto, sia luogo di rinascita sociale, nell’interesse dell’intera collettività. Non è “buonismo” ! Dobbiamo dare piena attuazione all’art. 27 della Costituzione. Dobbiamo riconoscere la dignità – nel solco dell’art. 3 comma 2 della Costituzione – anche a donne e uomini in esecuzione pena. Così, necessario è dare sviluppo alla mozione approvata dal Consiglio Regionale il 18 gennaio dello scorso anno, volta all’istituzione del provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria per i carceri di Trento e Bolzano per meglio coordinare interventi rispetto alla rieducazione, reinserimento e socializzazione di detenute e detenuti. ***** *** ***** Mi congedo con un auspicio. Affrontiamo il nuovo Anno Giudiziario con un solo autentico obiettivo: garantire i diritti e le libertà delle persone anche e soprattutto più deboli. Avremo così fatto semplicemente il nostro dovere. Ne trarrà beneficio la società tutta. Con l’ulteriore significato del ridare ai cittadini fiducia nella Giurisdizione e nelle Istituzioni che rappresentiamo. Ringrazio tutti per l’attenzione. Avv. Andrea de Bertolini
Intervista a cura di Milena Miranda.